Tornano le montagne. I monti di Leon che dobbiamo superare raggiungono i 1532 metri, ma partiamo già da un’altezza di 900 e la tappa odierna risulta quindi molto più facile della prima tappa pirenaica.
Finalmente si può tornare a definire bello il cammino. Dall’alto dei monti di Leon possiamo infatti ricominciare a osservare prati, alberi e panorami. È questo il vero addio alla meseta che tanto mi ha fatto patire. Che meraviglia. Durante la salita mi fermo all’albergue del paesino di Foncebadon alla ricerca del pranzo e vi trovo un posto particolare. Innanzitutto perché il bocadillo con salsichon (panino col salamino) è il migliore di tutti quelli avuti fino ad ora. L’hostelero infatti non usa la solita insapore barra de pan, ma finalmente un altro tipo di pane. Secondo, perché vengo omaggiato con un bicchiere di yoghurt fatto in casa nel quale aggiungere del miele. Osservo anche come nei manifesti dell’albergue si faccia presente che lì si tengano per un donativo lezioni di yoga e si facciano anche massaggi. Io sono già soddisfatto così e torno a inseguire il resto del gruppo che mi è passato oltre senza fermarsi per pranzo, con l’eccezione di Daniele che deve ancora arrivare. Sarò l’unico ad aver approfittato dello yoghurt e lo rinfaccerò a tutti raccontando una storia sempre più emozionante su come io lo abbia ottenuto che rivaleggerà solo con la storia di come Adam abbia comprato un cappello di paglia a 75 cent). In cima alla montagna si erge la Cruz de Ferro, dove i pellegrini che hanno studiato sanno di poter lasciare una pietra portata da casa come simbolo dell’abbandono di fardelli inutili. Io non ho studiato e non avevo con me pietre. Estrometto rapidamente dalla mia testa l’idea di lasciare il libro di analisi e raggiungo quella che Daniele in seguito definirà “la famiglia” (+ Iacopo, l’italiano che stava male a Carrion de las condes, che in questi ultimi giorni ritroviamo sempre) che sta prendendo il sole poco più in là. Ripartiamo circa un’ora dopo e scendendo di 400 m verso El Acebo, dove siamo accolti da due hosteleri italiani che preparano una cena collettiva a base di pasta alla pseudo-amatriciana (impossibile trovare ingredienti adatti, in particolare un buon sugo di pomodoro), tortilla di patate e macedonia, per cui noi aiutiamo tagliando la frutta e pelando le patate. Usciamo dall’albergue subito dopo cena cercando di vedere il tramonto, ma le nubi che lo coprono e il freddo che è arrivato ci vedono correre verso una rapidissima birra al bar prima che l’albergue chiuda e che noi ci si prepari per la notte.
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